In slow boat dalla Thailandia al Laos: 2 giorni sul Mekong
Ma non mi annoierò? è stata la prima domanda che mi sono fatta quando ho deciso di raggiungere il Laos dal Nord della Thailandia, attraversando il Mekong in slow boat, la tipica imbarcazione da carico un tempo usata per il trasporto del riso e delle merci, ed oggi ristrutturata ed adattata per il servizio passeggeri.

1, 2, 3 si salpa
Due intere giornate di navigazione da Huay Xai a Luang Prabang, ammirando gli splendidi panorami di questa zona montana del paese, caratterizzata da pendii scoscesi e coltivazioni lungo le fertili sponde del fiume. Ma il vero spettacolo per me è stato dentro, osservando cosa accadeva in quella barchetta di legno, dove una ventina di donne locali con figlioletti a carico sedevano a terra su un tappeto colorato dedicandosi alle loro attività, mentre sui duri sedili di legno orde di decerebrati australiani ascoltavano musica a palla, si ubriacavano e davano il peggio dell’umanità. Da subito ho deciso di evitare la baldoria, per prendere posto accanto alle signore, mentre il capitano muoveva pigramente un timone dorato che pareva finto. Di quella prima giornata sul fiume ricorderò sempre gli zainoni ammassati dei backpackers accanto alle sporte colorate, la discrezione di queste donne povere ma elegantissime nelle loro tuniche, che guardavano senza batter ciglio il mondo civilizzato (…) che urlava e si sbronzava.

I turisti si preparano al party hard

… mentre le locali si dispongono all’ingresso su una grande stuoia colorata

La nave senza uomini: solo donne e bimbi a bordo della slow boat

Capitan Findus sul seggiolone: siamo in buone mani
I bimbi saltellano, soffocando i ridolini tra uno Sawadee e l’altro; man mano trascorrono le ore, la barca si ferma verso le sponde deserte, dove una decina di persone lascia la baracca che si intravede in lontananza per accompagnare un parente a riva: salgono solo donne con le loro ceste, si salutano tra loro con un cenno del capo e siedono silenziose guardando verso il Mekong. A turni consumano il loro pranzo al sacco, fino a quando un gruppetto di 6 donne si siede a cerchio per srotolare decine di foglie di banano stracolme di verdure, riso, intingoli. Una di loro mi guarda e mi invita a provare il loro pranzo: aver costretto ogni australiano buzzurro a togliersi le scarpe mentre, incurante e caciarone, stava per calpestare il loro tappeto, mi ha fatto guadagnare la loro benevolenza. Ringrazio e mi commuovo per quel gesto, ma le lacrime vere sgorgano appena tutti quei peperoncini piccantissimi mi esplodono sulla lingua mannaggialoro.

Mi unisco al rituale del pranzo

Ed è subito pennica

Fuori, solo minuscoli villaggi che accompagnano i passeggeri a bordo
Arrivo verso le 18:00 circa al villaggio di Pakbeng, piccolo e caratteristico paesino in cui sostano per la notte le imbarcazioni che effettuano la navigazione sul fiume. Ci inerpichiamo lungo una salita fatta di rocce e bestemmie prima di raggiungere la via principale: è buio pesto ed i vari songthaew, i taxi collettivi con tettuccio di tela, ci scarrozzano stipati nel centro della città, che consiste in una via scoscesa dove si susseguono hotel e ristoranti. Condivido la stanza doppia del Donuillasack Guesthouse con una simpatica signora inglese, anche lei viaggiatrice solitaria, e dopo la doccia la fauna umana che aveva popolato la barca si riversa per strada. Sembra di uscire da un after, tra il buio pesto e la gente sbronza, ma sono solo le 7 di sera e con una decina di superstiti si cena tutti insieme al Ristorante Ounhan, dove ho il primo rapporto muy caliente con il cibo Lao (come qui chiamano il Paese, già, senza s finale). Mi sparo subito uno dei piatti più tipici, ovvero il Laarb, un’insalata di erbe, spezie e pezzetti minuscoli tritati di carne o pesce o tofu e provo la temibile Beerlao, l’unica birra del Paese – bocciatissima dalla Lonely ma che a me piace.

L’arrivo a Pakbeng: e Laos sia!

Già presa bene con il Laarb
Pur inculandoci, essendo Pakbeng una cittadina nel mezzo del nulla creata ad hoc per i turisti che traghettano dalla Thailandia, spendo poco meno di 4 dollari, mentre cerco di prendere confidenza con la valuta locale. Il KIP laotiano non ha monete ma solo banconote di carta, 1 euro corrisponde a un po’ meno di 10.000 kip ed il conteggio si fa facile e nostalgico (per chi, come me, rimpiange quei faccioni marroni barbuti stampati sulle mille lire). L’indomani, mentre il baracchino prepara il frittatone, colazione tipica del Laos accanto alle decine di panetterie francesi che avrei trovato poi nelle maggiori città, mi allontano dall’unico vialone che pare comporre Pakbeng per esplorare la vita locale, in attesa di imbarcarci di nuovo.
Poche le macchine, decine i motorini, le donne stanno accovacciate fuori casa per preparare il riso su pentoloni che cuociono su un fuocherello improvvisato sul portone, qualche bimbo va a scuola, altri cazzeggiano in strada. Ma è tempo di far ritorno all’hotel, dove un tuk tuk ci porterà al porto: recupero il pranzo al sacco (sulle slow boat si trovano solo qualche snack e lattina a prezzi triplicati), quando dalla reception ci avvisano che l’autista non passerà, ‘it’s too cold to work’ e penso subito di riciclare questa scusa la prossima volta che vorrò zompare l’ufficio.
Il Laos ha una temperatura più ventilata rispetto alla vicina Thailandia: durante la mia permanenza il termometro non ha mai superato i 28 gradi e 20 è stata la minima in cui mi sia imbattuta, assistendo a scene da gelo polare tra i locali. Una signora su un autobus a Vientiane mi racconterà che un paio di anni prima le temperature scesero sotto i 18 gradi e molta gente morì di freddo. Ci dirigiamo a piedi verso il pier, dove ci accoglie la splendida notizia che hanno allestito due barche: una per i festaioli 24-hours-party-people e una più tranquilla.
Abbandono i ragazzacci con cui non nego di aver trascorso qualche ora stupefacente dopo cena, ma sono ben intenzionata a godermi il panorama sul fiume nella calma più imperturbabile e senza gente che sbocca e sbrocca con i Chemical Brothers a palla. E infatti quella seconda giornata di barca sul Mekong è stata uno dei giorni più belli, degna anticipazione di Luang Prabang, l’antica capitale dove saremmo sbarcati nel tardo pomeriggio, e per la quale fu amore a prima vista.
Prendo posto in questa barchetta gremita di locali dove è obbligatorio togliersi le scarpe prima di entrare; i bimbi mandano baci con la mano, una ragazzina incinta ricama un fazzoletto, il timone questa volta è d’argento come quello di Capitan Findus. E riprende lo spettacolo naturale racchiuso tra il fiume calmo e la foresta più verde. A un certo punto la barca rallenta fino a fermarsi, temo – o forse spero – si tratti di un guasto, ma d’un tratto sbuca una canoa che si avvicina per consentire ad una ragazza piena di sacchi di verdure di saltare sulla nostra imbarcazione. Solo in quel momento scorgo un bimbo sui 10 anni che riporta a casa la barchetta remando veloce in direzione contraria, dopo aver accompagnato probabilmente la madre.
La navigazione prosegue placidamente mentre i locali sgranocchiano patate dolci, si respira una calma senza pari, turbata solo dall’arrivo di una bellissima signora sui 70 anni che porta con se uno scatolone zeppo di pulcini pigolanti. Un bimbo dai denti completamente marci mi guarda, mi saluta, mi dice qualcosa e sua madre gli tira uno sberlone: non capisco cosa mi abbia detto, ma mi offendo a prescindere.
Le otto ore volano tra panorami mozzafiato, scaccolamenti, i bimbi che da riva guardano con invidia chi sale sulla barca, chiacchiere con una coppia di francesi che sta girando l’Asia da due anni grazie ai soldi guadagnati raccogliendo fragole per 5 mesi in Nuova Zelanda.
E la pace del Mekong invade tutto quanto, dentro e fuori la barca, dentro e fuori me.
Nel tardo pomeriggio sbarcheremo a Luang Prabang, l’antica capitale del Laos. Corri a leggere come è andata cliccando sulla parolina QUI (indicazioni per mia madre, non vogliatemene).
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