To be OR Not Tubi, ovvero; andare o non andare a Vang Vieng
Non avevo mai sentito la parola tubing prima di cercare informazioni su Vang Vieng. La cittadina laotiana a metà strada tra Luang Prabang e Ventiane, è infatti tristemente famosa per le innumerevoli attività di svago lungo il fiume Nam Song, tra cui la diffusissima pratica di mixare alcol e droghe per poi scendere a tutta velocità lungo le rive a bordo di un canotto. Numerosi gli incidenti spesso mortali, e nonostante i controlli siano ora più severi, questa tipologia di turismo ha deturpato non poco la bellezza incontaminata della città. Ragazzotti sui 22 anni in canotta e pantaloni con gli elefanti alla ricerca dello sballo hanno gradualmente trasformato la cittadina in un vialone di ostelli e pub brutti con musica a bomba.

Vang Vieng è (tristemente) nota per le attività lungo il fiume
Tutti mi avevano messo in guardia su questi rischi, sconsigliandomi a piè pari Vang Vieng, ma ne sentivo il richiamo forte e chiaro, ed inoltre preferivo evitare il terribile bus notturno che collega la perla del Sud Est asiatico con la Capitale del Laos durante un numero imprecisato di ore. L’ultima notte a Luang Prabang decido quindi di prenotare un autobus diretto al sud ed un letto per una sola notte in un dorm del Vang Vieng Rock Backpacker Hostel (ostello che consiglio: tutto impeccabile, dal prezzo di 6 dollari alla cortesia del personale. Unico neo: la musica da discoteca a palla in reception fino alle 22, cosa che del resto accomuna tutte le strutture del centro). 8 ore (contro le 5 promesse) indimenticabili in un mini van stipato, per un tragitto turbolento lungo la mitica Route 13, da poco riaperta ai turisti, dopo decenni di attacchi da parte di malviventi e ribelli.

Lungo la Route 13, curve a gomito e elefanti incatenati…

Selfie a punto di vomitare, lungo i dirupi del tragitto #travelgum
L’unica ‘autostrada’ del Laos che percorre tutto il paese dall’estremo punto nord al confine con la Cina fino alla capitale laotiana è in realtà un susseguirsi di curve a gomito inerpicante sui monti. Incredibile il panorama, ma chi soffre il mal d’auto come la sottoscritta dovrà mettere in conto non pochi svarioni. Nulla in confronto alle decine di morti che ogni anno perdono la vita in quella che rimane una delle tratte più accidentate di tutta l’Asia, tra burroni a strapiombo, scarsa visibilità, percorsi stretti. Numerosi i forum di packpackers che la sconsigliano (tipo questo), e per nulla casuale che digitando in google route 13 il primo risultato consigliato sia questo:
Sopravvivere alla Route 13 significa poter portar con se un ricordo bellissimo, fatto di vallate e promontori, mentre si sfreccia lungo curve a gomito lasciandosi indietro villaggi di polvere e bambù, popolati quasi esclusivamente da bimbi dai 12 anni in giù. La guida sportiva dell’autista ci costringe a innumerevoli stop, tra passeggeri verdi in faccia e tappe senza senso: schiviamo un numero imprecisato di cani, polli e maialini neri, incrociamo per strada un elefante incatenato e decine di bimbi che giocano nei ruscelli, che cuociono riso bollito, che tirano i galli per la cresta, che scuotono il bambù contro la strada.

Il panorama fuori dal finestrino rimane meraviglioso
Ad una certa l’autista del mini van inizia a suonare il clacson all’impazzata ed in quel momento realizzo che ce l’ha con un serpente che stava per attraversare la strada. Deliranti le ultime ore, dove non distinguo più se provo vertigini o vomito. Giunta a destinazione, mi scontro immediatamente con la delusione di quel postaccio: mi affretto a prenotare un bus per l’indomani mattina con l’idea di dedicare un solo pomeriggio a Vang Vieng e spostarmi appena possibile verso la capitale.

Vang Vieng non è mica solo tubi
Passeggio svogliata lungo il centro quando un bel panorama di monti a ridosso sul fiume mi colpisce. Mi siedo lungo la riva scrutando il ramonto sul ponticello di bambù, e a un tratto mi sento chiamare: è Kerry, un’inglese conosciuta durante il tragitto in slow boat. Ci riabbracciamo ed è in compagnia di un aitante 56enne australiano che sta facendo il giro del mondo in bici da un paio di anni. Ceniamo tutti insieme in un ristorante vegano seduti a terra su cuscini sgarruppati, ed iniziano i racconti del ciclista che vuole dedicare almeno 5 giorni a Vang Vieng poiche ricca di grotte e sentieri montani. Non faccio in tempo a ruttare il tofu giallo che sono già in agenzia a cambiare il biglietto del bus, posticipando la partenza dalle 8 alle 14.
L’indomani sono in sella alle 7.30 ed alle 8 mi trovo con l’australiano di fronte al ponticciolo, direzione Blue Lagoon, mentre le bimbe locali pescano le alghe nel fiume.

I fiumi laotiani, la grand ricchezza del Paese

La brezza delle 7 di mattina paura non ci fa

Vang Vieng si sveglia bollendo riso e strozzando polli

Donne di tutte le età intente a confezionare ghirlande votive per i templi

Gli ultimi istanti di un pollo, ora in edicola
Di quel giorno ricordo lo slang australiano, le pedalate all’ombra dei monti, il verde più selvaggissimo, i tuffi nel ruscello della laguna blu, le passeggiate al buio pesto dentro grotte che mettono in guardia del rischio di perdersi e di non assumersi alcuna responsabilità se l’incauto turista entra a proprio rischio senza guida. Solo in quel momento mi rendo conto di essere sola nel buio più totale tenendo per mano un muratore australiano quasi 60enne in un paesino sperduto nel centro del Laos. Il vero pezzo forte della mattinata rimane la biciclettata tra i monti: maciniamo una trentina di chilometri in 4 ore riempiendoci gli occhi di verde, mucche, fattorie, grotte, piscinette naturali congelate, casupole ferme nel tempo.

Monti e pedalate, cosa chiedere di più dalla vita?

Verde, verde, verde e girasoli

Imponente, uno dei pochi templi di Vang Vieng

Tipiche raccomandazioni per il turista

Piedi in ammollo alla Blue Lagoon…

… mentre i giappi si preparano al loro tubing
Ma ahimè è giunto il momento dell’addio: di fronte al ponte dove ci siamo conosciuti qualche ora fa saluto il mio compagno di pedalate e, mentre ci auguriamo buona vita, mi rendo conto di invidiarlo tanto tanto.

Un addio ai monti che manco Lucia Mondella
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